Non si avvicini a quel vetro, non lo tocchi. Non gli passi nulla se non carta soffice, niente matite o penne, niente punte metalliche o attache sulla carta. Usi il porta-vivande scorrevole in ogni caso. Se tenta di passarle qualcosa, non accetti. Sono stato chiaro?
La mia generazione, nei primi anni ‘90 è stata sconvolta da due “mostri cinematografici”: IT, spauracchio per i più giovani, e Hannibal Lecter, raffinato serial killer che si fa conoscere al mondo prima come abile psicologo e solo in un secondo momento come spietato sanguinario.
La vicenda, basata sull’omonimo romanzo di Thomas Harris, narra di uno spietato assassino che scuoia le vittime dopo averle uccise. Sulle sue tracce sarà una giovane recluta FBI, Clarice Starling che, con l’insolito ausilio dello stesso Lecter (imprigionato in un carcere di massima sicurezza), cercherà di risolvere il tortuoso caso. La contrapposizione tra la “ferocia mentale” di uno stupefacente Anthony Hopkins e la fragilità emotiva (e fisica) di un’inerme Jodie Foster, risulta essere l’asso nella manica di questo thriller dai toni fortemente psicologici . “Buffalo Billl” , questo il soprannome del ricercato, si staglia sullo sfondo della scena, lasciando il palcoscenico ai due assoluti protagonisti della vicenda. Un thriller che ha colpito nel segno, conquistando il pubblico nonostante le cadenze cupe e violente, vincitore di 5 premi Oscar, e divenuto quasi da subito un cult tra le pellicole di tensione.
In precedenza, già Michael Mann aveva presentato al grande pubblico le vicende di Hannibal con il suo “Manhunter – Frammenti di un omicidio”, ma la versione di Jonathan Demme (non propriamente un remake) supera di gran lunga una produzione già di per sé di notevole fattura.