“Utilizzo le mie capacità nel modo più completo, il che, per un’entità cosciente, è il massimo che possa sperare di fare.”
Capolavoro assoluto del compianto maestro Stanley Kubrick, che con questo film segnò un prima ed un dopo nel genere di fantascienza, tant’è che registi quali George Lucas e Ridley Scott, ma più recentemente anche Nolan con il suo Interstellar, ne rimarranno inevitabilmente influenzati e non potranno sottrarsi ad i facili paragoni tra le loro opere e questa pietra miliare del cinema. Questo lungometraggio di Kubrick – che comunque definire di pura fantascienza sarebbe altamente riduttivo – presenta una trama scarna e dialoghi ridotti all’osso, risultando assai criptico e prestandosi a molteplici interpretazioni; tutte valide ed interessanti ma allo stesso tempo incomplete dinnanzi alla compiutezza del genio del cineasta newyorkese. Protagoniste assolute della pellicola sono comunque le immagini sublimi che il regista regala al suo pubblico. Ogni inquadratura è una vera e propria opera d’arte capace di comunicare più di mille parole e gli effetti speciali (ricordiamoci che siamo nel 1968) sono da Oscar.
Magnifica nonché fondamentale per provare ad interpretare il film è pure la colonna sonora, in cui spicca Also Sprach Zarathustra di Strauss, che rimanda inevitabilmente a Nietzsche regalandoci un’importante chiave di lettura filosofica. Ancora più difficile raccontare qualcosa sulla storia, poiché il film proietta lo spettatore in un viaggio che inizia all’alba stessa della razza umana e su navi spaziali guidate da intelligenze artificiali di ultima generazione lo condurrà sino ai confini più remoti del sistema solare, varcando le barriere dello spazio e del tempo. Perno simbolico attorno al quale ruoterà la vicenda narrata: un misterioso monolite nero d’origine aliena.