“Eppure che è la fame? Un vizio! È tutta un’impressione! Ah, se nun c’avessero abbituati a magnà, da ragazzini!”
Primissimo lungometraggio, e probabilmente il più bello (in quanto più vero e “vergine”), di quello che senza ombra di dubbio resta tutt’oggi l’intellettuale più completo e controverso che il nostro paese abbia l’onore di annoverare.
Siamo alla fine degli anni ’50, Vittorio Cataldi, conosciuto da tutti come Accattone, è un sottoproletario che vive, o meglio sopravvive, nella polverosa Roma di periferia, quella delle borgate, delle prostitute e dell’arte dell’arrangiarsi. All’inizio del film, Accattone riesce a barcamenarsi come può facendosi mantenere da Maddalena, ingenua prostituta disposta a tutto per il suo uomo e protettore. Quando la giovane finisce in carcere, tradita dallo stesso Accattone che cercava ancora una volta di salvarsi la pelle, quest’ultimo rimane in mezzo a una strada, senza un soldo e senza niente da mangiare. L’incontro con Stella, ragazza semplice e di animo puro, sembra rappresentare il punto di svolta per il protagonista, che addirittura accetta un lavoro sottopagato, estenuante ma onesto. Tuttavia per lui, come per ogni sottoproletario della provincia romana, e di tutta Italia, il destino è segnato sin dalla nascita, e c’è unicamente una via d’uscita per sottrarsi alle sofferenze della vita.
Ancora caratterizzato da echi neorealistici e girato con attori non professionisti, “Accattone” possiede tutti i difetti di un’opera prima, ma allo stesso tempo costituisce una trasposizione cinematografica efficace di quella che è la poetica pasoliniana degli anni ’50 e ’60. Da vedere assolutamente, per non dimenticarci di un autore che è vissuto 20 anni avanti rispetto ai suoi contemporanei, magari dopo aver letto i romanzi “Ragazzi di vita” e “Una vita violenta”, e le raccolte poetiche “La meglio gioventù” e “Le ceneri di Gramsci”.