“Una canzone misogina contro le donne!”
“Signore, è la versione strumentale…”
Dopo aver sentito parlare tanto di “Anatomie d’une Chute” e della sua vittoria a Cannes, le mie aspettative erano alle stelle. Un film che si avventura nei meandri oscuri di un thriller legale con sfumature psicologiche, guidato da Justine Triet, un nome che prometteva di portare una freschezza nell’approccio narrativo (Miglior sceneggiatura originale agli Oscar del 2024). La premessa era intrigante: un dramma che si svolge in un’isolata baita di montagna vicino a Grenoble, dove la morte misteriosa di Samuel Maleski getta ombre di dubbio e sospetto sulla moglie scrittrice, Sandra Voyter, interpretata magistralmente da Sandra Hüller. Hüller è il pilastro su cui il film si erge, portando una gamma espressiva di emozioni che si adatta magistralmente a ogni piega della trama. Il suo personaggio naviga tra la disperazione della perdita e la ferocia della sopravvivenza, offrendo una performance che è, senza dubbio, una delle migliori dell’anno. La regia di Triet sfrutta la complessità dei rapporti umani, dipingendo un quadro dettagliato di come le relazioni possano complicarsi fino a raggiungere punti di rottura inimmaginabili.
Il supporto di Milo Machado Graner nel ruolo del figlio visivamente compromesso di Sandra e Samuel aggiunge uno strato di innocenza e vulnerabilità, offrendo una prospettiva diversa sulle dinamiche familiari. La presenza del cane Snoop, poi, non è solo un dettaglio emotivo ma diventa un punto cruciale della narrazione, dimostrando la capacità del film di utilizzare ogni elemento a sua disposizione per avanzare la storia in modi inaspettati. Tuttavia, nonostante le prestazioni stellari e l’acuta regia, il film si trascina in alcuni momenti, specialmente nel suo nucleo centrale. Le scene di tribunale, sebbene ricche di tensione, a volte si dilungano più del necessario, perdendo l’impeto iniziale e lasciando lo spettatore in attesa di una svolta che tarda ad arrivare. Questo aspetto, insieme a una durata forse eccessiva, può mettere alla prova la pazienza, soprattutto per coloro che cercano un thriller più dinamico e meno riflessivo.
Sicuramente questo è un film che risplende per la sua qualità e per l’approccio meticoloso alla narrazione e al personaggio. Nonostante alcune lungaggini, resta un’opera significativa che riflette sulla natura umana, sulla giustizia e sulla verità, anche se avrebbe potuto beneficiare di un ritmo più serrato. È una di quelle esperienze cinematografiche che invitano alla riflessione, ricche di sfumature e complessità, che merita di essere vista per la potenza delle sue interpretazioni e per la profondità della sua indagine sul lato oscuro dell’animo umano.