Il primo film “maledetto” della storia del cinema, semplicemente.

Capolavoro visionario e al tempo stesso intriso di profondo realismo questo di Erich Von Stroheim, che segnerà la fine prematura della sua carriera di talentuoso regista, facendolo virare verso la recitazione (La grande illusione, Viale del tramonto).
Inizialmente della durata di quasi 10 ore, successivamente ridotto a 5 dallo stesso Stroheim e infine arrivato a noi nella versione di 140 minuti, dopo aver subito pesantissime amputazioni. La critica lo stroncò e solo negli anni ’50 ebbe la sua rivincita, quando iniziò a comparire nelle liste dei migliori film di sempre.

La storia è semplice e lineare: una giovane coppia di neo sposi vince alla lotteria. Questa vincita porterà distruzione anziché felicità: lei si attaccherà morbosamente al denaro decidendo di vivere in assoluta povertà pur di non vedere intaccato il suo gruzzolo; lui, esausto dalla situazione, uccide la moglie e se ne va nella Death Valley col bottino, inseguito dall’ex fidanzato della consorte. Lo scontro finale tra questi due esempi diversi di vizi umani, di totale assenza di virtù, di avidità patologica, è memorabile, epico, cruento.

Stroheim, regista maniacale e austero, dirige un capolavoro assoluto pregno di metafore e simbolismi in cui racconta dettagliatamente la ferocia che, insita nell’essere umano, prende vita quando lo stesso preferisce la ricchezza materiale a quella interiore.
L’eccessivo realismo del regista portò molti membri della troupe ad ammalarsi, un cuoco alla morte e gli attori in ospedale in preda a delirio, disidratazione e piaghe quando decise di girare davvero nella Death Valley la scena finale, i primi ad avventurarsi dopo i pionieri. Ma anche questo, a distanza di quasi 90 anni dalla sua uscita, ne lascia immutato il fascino e il devastante impatto visivo.
Un film muto che non smette di parlare allo spettatore, semplicemente.

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