“Aspettando che sia io a cominciare una conversazione si rischia di aspettare abbastanza a lungo”
Siamo nell’Inghilterra degli anni Trenta sotto il regno di Giorgio V. Albert, duca di York, secondogenito della famiglia reale, pur non essendo erede diretto al trono, è incaricato di compiti che spesso lo portano a contatto con il pubblico. Nelle sue uscite ufficiali Albert, anche se gli sono richiesti brevi discorsi introduttivi, presenta sempre delle difficoltà ad esprimersi.
Ma anche nella vita famigliare la balbuzie gli impedisce di comunicare spigliatamente, provocandogli imbarazzo e senso di inferiorità. La moglie Elisabeth si rivolge a diversi medici con affermata esperienza in logopedia; Albert è riluttante e poco collaborativo finchè si sottopone alle cure del dottor Lionel Logue, originale ed eccentrico logopedista australiano. Da qui la svolta: tra medico e paziente (Lionel e Bertie) si instaura un rapporto che possiamo definire il punto focale del film. L’intesa tra i due spesso vacilla ma Lionel (come esige essere chiamato da tutti i suoi pazienti) sarà determinante più che mai quando Bertie verrà incoronato re con il nome di Giorgio VI.
L’oscar a Colin Firth ci sembra meritato, se non altro per la difficoltà nell’interpretare un balbuziente… ma non solo! Esprime nel suo personaggio all’apparenza ostile grande umanità che sembrerebbe contrastare con l’idea di un sovrano di forte personalità, quale è stato Giorgio VI. Lo stesso rapporto con il dottor Logue, interpretato da un ottimo Geoffrey Rush, conferisce alla storia risvolti a tratti emozionanti con profonde confidenze del re, a tratti divertenti, alleggerendo il film senza mai renderlo una mera narrazione storica.