Non ritengo questo un film facile, ma non perché sia particolarmente intricato; le mie perplessità derivano piuttosto dalle tematiche affrontate. I fatti storici di fine anni ’60 nella Germania Occidentale non sono, per così dire, argomento di discussione abituale delle tavole italiane. A noi però piace essere anticonvenzionali, ed un film del genere interessa a prescindere dalla passione o meno riguardo la storia geopolitica del recente panorama europeo. Come detto siamo nel 1967, ad ovest del muro di Berlino.
Il clima che si respira nella scena politica è decisamente di protesta, nei confronti di una Germania filo-iraniana e degli Stati Uniti impegnati in una guerra vietnamita che non lascia spazio al rispetto dei diritti umani. In questo clima si sviluppano movimenti indipendenti più o meno violenti appartenenti alla sinistra radicale. Il più rappresentativo fu istituito da Andreas Baader e da Gudrun Ensslin, due attivisti violenti, che non si fecero scrupoli a macchiare di sangue le proprie proteste. Le loro intenzioni trovarono maggior richiamo in tutto il paese in seguito al loro incontro con Ulrike Meinhof, autorevole scrittrice e giornalista, che incanalò i loro impeti sovversisti in una banda criminale dotata di una forte connotazione filosofica e politica, rendendola automaticamente più autorevole e popolare in tutto il paese. Questa pellicola di denuncia diretta da Uli Edel (Christiane F. – Noi, i Ragazzi dello Zoo di Berlino) racconta con chiarezza la nascita, lo sviluppo e la fine di un movimento che segnò non poco la recente storia della regione teutonica. Una pellicola che assume i tratti di una ricostruzione storica e che è valsa al regista la candidatura nel 2009 alla statuetta di miglior film straniero.