“Solo una persona può decidere il mio destino, e quella persona sono io.”
“Citizen Kane” di Orson Welles è il punto di congiunzione dove il cinema si interroga sulla propria essenza e potere, una pietra miliare che ha riscritto le regole narrative e tecniche del linguaggio cinematografico. Quest’opera, ancora oggi, rappresenta un enigma avvolto in un mistero, un puzzle complesso di ambizioni umane, verità elusive e il prezzo del potere. Welles, con la sua opera prima, ha osato sfidare le convenzioni, sia nella struttura narrativa non lineare sia nell’uso innovativo della fotografia, del sonoro e degli effetti speciali. La profondità di campo, l’uso del chiaroscuro, e le inquadrature angolari non sono solo tecniche visive; sono finestre attraverso le quali esploriamo l’abisso dell’anima di Charles Foster Kane, magnate della stampa il cui epitaffio potrebbe essere il quid pro quo tra potere e solitudine.
La struttura del film, che segue una serie di flashback innescati dalla parola enigmatica “Rosebud”, è un viaggio attraverso il labirinto della memoria e dell’identità. Ogni testimone offre una faccia diversa di Kane, come se l’uomo fosse un mosaico di percezioni esterne, un’entità frammentata la cui essenza sfugge fino all’ultimo, in un finale che è tanto una rivelazione quanto un ulteriore enigma.
“Quarto Potere” si pone come una meditazione profonda sull’illusorietà della verità e la costruzione della realtà, temi ancor oggi attuali in un’era di post-verità e realtà mediate. Welles antecipa la destrutturazione del soggetto moderno, mostrando come la nostra identità sia in gran parte una narrazione costruita attraverso lo sguardo altrui, una tematica che trova eco in opere contemporanee che esplorano la fluidità dell’identità e della memoria. Il film è anche un commento acuto sul potere dei media di plasmare la realtà, un tema che David Fincher ha brillantemente esplorato in “Mank” (2020), il quale si concentra sulla figura di Herman J. Mankiewicz, co-sceneggiatore di “Quarto Potere”. “Mank” non solo rende omaggio al genio dietro “Quarto Potere” ma approfondisce anche il contesto socio-politico dell’epoca, offrendo una riflessione sulla natura effimera della verità nei media e nella politica.
In un’epoca in cui il cinema si interroga sulla propria capacità di influenzare e riflettere la società, “Quarto Potere” rimane un testo fondamentale, una lezione di cinema che trascende il tempo. Welles ci ricorda che il cinema, al suo meglio, è una forma d’arte capace di esplorare le profondità dell’animo umano, di interrogare la realtà e di sfidare i nostri modi di vedere e comprendere il mondo. Questo non è semplicemente un film; è un dialogo aperto con lo spettatore, un’opera che invita alla riflessione e al dibattito. Come tale, il suo posto nella storia del cinema è non solo assicurato ma continua a essere rinegoziato e riscoperto da ogni nuova generazione che vi si avvicina, trovandovi sempre nuove chiavi di lettura e inesauribili fonti di ispirazione.
