“San Rocco è un bugiardo. Ti puoi fidare solo di San Biagio: quello non ti mente mai.”
Accendura, anonimo paesino del sud Italia, diventa teatro per degli omicidi di bambini. Le indagini della polizia si intrecciano a quelle di un reporter (inerpretato da Tomas Milian): il primo indiziato è lo “scemo” del villaggio che risulta essere una falsa pista, subito dopo toccherà a una ragazza di città molto spregiudicata, mandata in punizione dal padre nel paesino di campagna. Scagionata anche lei, la gente prende di mira la “maciara” (strega/fattucchiera) del paese che nasconde ben altri segreti. Ma sia la polizia che la gente comune non capirà fino alla fine dove si annida il male omicida.
Un Lucio Fulci in grande forma e come al solito con pochi mezzi, confeziona un thriller morboso e “sociale”. Sceglie il sud Italia (primo thriller girato in quelle zone) per mostrare le spaccature di un paese in via di modernizzazione. Un paese dove convivono mentalità aperte e spigliate con superstizioni e pregiudizi antichi. Un cast eccezionale rende il tutto ancora più coinvolgente, con una Florinda Bolkan sempre troppo sottovalutata. Milian si scopre per il grande attore che è, mentre a riempire il tutto ci sono i visi scavati e autentici dei paesani.
Molto importante il ruolo della magia ma sopratutto dei pregiudizi. Troviamo un mix di maghi ambigui, religione e superstizione che rende la trama morbosa al punto giusto. Grandiosa la scena della maciara nel cimitero, dove “l’ignoranza” prenderà il sopravvento in una sequenza magistralmente girata che toglie il fiato. I più smaliziati ritroveranno, nelle scene degli incantesimi della “maciara”, quella che dopo qualche anno diventerà la firma di Argento in Profondo Rosso.
Interessante anche l’aneddoto della denuncia al regista e al produttore: furono chiamati davanti al giudice per aver girato l’intrigante scena della Bouchet, completamente nuda, che cerca di sedurre un minore. A quel punto Fulci fu costretto a portare in aula la controfigura del bambino che compare di spalle nelle scene. Si trattava di un uomo adulto affetto da nanismo!
Fulci, da grande “artigiano dei generi” qual era, ci regala un capolavoro che scava dentro le coscienze. Si traveste da thriller per indagare nelle pieghe di una società malata e chiusa in se stessa. Da maestro usa il “genere” per raccontarci altro. Un grandissimo regista messo alla berlina da vivo ma che ogni amante del cinema vorrebbe vivo per altri mille anni.