“Io mi dichiaro innocente per quanto riguarda lo spaccio e colpevole per quanto riguarda la detenzione.”
Una storia vera che ha toccato nel profondo la cronaca italiana e che continua a suscitare dibattito; un film che non sta facendo altro che fomentare la discussione sul tema: le Forze dell’Ordine in Italia in passato si sono macchiate di abusi non da poco, inutile negarlo. Con questo non vorrei fare di tutta l’erba un fascio: le mele marce ci sono in tutto il mondo, in tutti gli ambienti. E lungi da me giudicare questo caso: ci sono processi ancora in corso che si spera diano risultati e giustizia; quello che ci vuole far vedere il film sono “solo” gli ultimi giorni di vita di Stefano Cucchi, ricostruiti secondo le testimonianze di chi li ha passati con lui e venute a galla dalle migliaia di pagine di verbali che regista e sceneggiatori si sono studiati per la produzione.
Non mi dilungo con i fatti di cronaca, si possono reperire semplicemente cercando tra le centinaia di articoli scritti a riguardo negli anni. Ciò che vorrei sottolineare è solo l’aspetto cinematografico della pellicola, selezionata come film d’apertura della sezione “Orizzonti” alla 75ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, prodotta da Netflix e distribuita da Lucky Red. È una produzione cruda, gli ultimi attimi in vita di un ragazzo con cattive abitudini ma vittima di ingiustizia. Un film forte, recitato egregiamente da Alessandro Borghi che ci trasmette potentemente le emozioni e sofferenze di Stefano. Lo strazio che la famiglia ha dovuto subire quasi è marginale rispetto alla centralità dell’interpretazione dell’attore romano; non è tuttavia né da scartare né da ignorare in quanto è parte integrante di una vicenda che nel complesso non può che indignare. Film da vedere senza sé e senza ma.