“Da quando ho conosciuto l’arte questa cella è diventata una prigione”
Il regista teatrale Fabio Cavalli arriva al carcere di massima sicurezza di Rebibbia con un obiettivo: formare un gruppo di attori sufficientemente talentuosi per poter mettere in scena il “Giulio Cesare” di Shakespeare, scegliendoli tra i molti reclusi della prigione (la maggior parte condannati per reati gravissimi quali traffico di droga e omicidio).
Definirei questo lavoro dei fratelli Taviani (Orso d’oro al festival di Berlino 2012) come realmente geniale e soprattutto assai coraggioso, tanto per la scelta del bianco e nero quanto per aver chiesto ai carcerati di recitare nel loro dialetto. Scommesse sicuramente vinte e che hanno contribuito a rendere la pellicola un vero capolavoro.
Un film-documentario intenso, duro nella sua delicatezza e raffinatezza, e che certamente invita lo spettatore a riflettere sulla condizione dei carcerati, ma anche sulla propria esistenza ed in ultima istanza sul ruolo dell’arte nella vita, il tutto creando una serie di parallelismi tra i dialoghi della tragedia di Shakespeare e le storie dei detenuti, le loro vicissitudini personali ed il loro universo emozionale. Personalmente sono rimasto gradevolmente sorpreso dalle validissime interpretazioni dei vari detenuti-attori, in particolare di Cosimo Rega (Cassio) e Salvatore Striano (Bruto). DA VEDERE!