“Arrival” è un film che trascende il classico racconto di invasione aliena per esplorare le profondità del linguaggio e la sua intrinseca relazione con il concetto di tempo. Diretto da Denis Villeneuve, noto per la sua maestria in opere di fantascienza come il seguito di “Blade Runner” e l’adattamento di “Dune”, questo film si distingue per la sua riflessione su comunicazione, memoria e destino attraverso l’incontro tra l’umanità e una specie extraterrestre.
Ecco alcune curiosità su “Arrival” che arricchiscono l’esperienza di questa pellicola:
Sorprendentemente, il poster del film raffigura un’astronave dalla forma identica a quella di un dolce norvegese chiamato ‘lakrisbåt’ (barca di liquirizia). Questa singolare coincidenza, scoperta solo dopo la progettazione, sottolinea come a volte l’ispirazione possa arrivare dalle fonti più inaspettate, creando connessioni culturali uniche e affascinanti.
“Arrival” trae ispirazione dal racconto breve “Story of Your Life” di Ted Chiang. Inizialmente, il film doveva mantenere il titolo del racconto, ma fu cambiato in “Arrival” seguendo le preferenze del pubblico per un nome più accattivante e direttamente collegato alla tematica extraterrestre, dimostrando come il marketing possa influenzare le scelte creative.
I nomi degli extraterrestri, Abbott e Costello, non sono scelti a caso ma sono un tributo all’omonimo duo comico americano. Questo dettaglio aggiunge un livello di umorismo sottile e un omaggio alla cultura popolare, arricchendo la narrazione con riferimenti storici e culturali.
L’uso del canarino come sistema di allarme nella nave aliena è un riferimento alle antiche pratiche minerarie, sottolineando il tema dell’esplorazione dell’ignoto e la cautela nell’avvicinarsi a realtà sconosciute.
Il design degli extraterrestri è frutto di un’accurata ricerca per creare esseri che trasmettessero allo stesso tempo forza, intelligenza e mistero. L’aspetto che fonde caratteristiche di creature marine e terrestri evoca la vastità e la diversità della vita nell’universo, stimolando la curiosità dello spettatore.
La preparazione di Amy Adams per il ruolo di Louise ha incluso un’intensa immersione nella lingua mandarina, sfida che l’attrice ha affrontato con dedizione, evidenziando il suo impegno nel dare profondità al personaggio e autenticità alla performance.
La tragedia della figlia di Louise, Hannah, nel racconto originale di Chiang, è ancora più straziante, delineando una fatalità inevitabile che Louise decide di accettare, nonostante la consapevolezza del futuro dolore. Questo approccio conferisce alla storia una profondità emotiva e filosofica che invita alla riflessione sulle scelte di vita e sul concetto di predestinazione.
Il nome Hannah, scelto da Louise per sua figlia, è un palindromo, riflettendo simbolicamente i temi di ciclicità e percezione non lineare del tempo che permeano il film. Questo elemento linguistico si intreccia perfettamente con la struttura narrativa dell’opera, dove inizio e fine si fondono in un unico continuum.
La scelta di non definire in anticipo la frase finale tra Louise e il generale Shang dimostra il processo creativo dinamico dietro la realizzazione del film, dove parole e dialoghi assumono un ruolo cruciale nel tessere il destino dell’umanità, sottolineando il potere salvifico della comunicazione.
Il dialogo tra Louise e il colonnello Weber sulla parola “Kangaroo” è un esempio di come miti e leggende urbane possano infiltrarsi nella cultura popolare, riflettendo sul potere delle parole e sulle interpretazioni errate che possono generare malintesi o, nel contesto del film, rivelazioni inaspettate.
Per saperne di più su questo film da vedere, leggi la recensione completa:
ARRIVAL
Arrival - Denis Villeneuve, 2016
Sì, da queste parti si parla di invasioni aliene. Sì, gli alieni in “Arrival” si presentano su una navicella spaziale. Proprio così, gli extraterrestri sono deformi e di un colore tendente al grigio. Diciamola tutta: qua non si fa sfoggio di grande originalità nella sceneggiatura, perlomeno per come gli “invasori” si presentano sul nostro pianeta. Ma l’abito non fa il monaco, e se non sei tipo da invasione degli omini verdi, devi comunque dare una chance ad “Arrival”: la vicenda in realtà si discosta presto da un puro film fantascientifico per vestire i panni di un qualcosa di più filosofico, campo certamente più interessante e che dà spazio a temi più profondi del semplice... [CONTINUA A LEGGERE L’ARTICOLO]