“Prima dobbiamo essere sicuri che capiscano che cos’è una domanda, quindi la natura di una richiesta, informazioni insieme a una risposta. Poi dobbiamo chiarire la differenza tra ‘Vostro’ riferito a loro due e ‘Vostro’ più in generale, perché noi non vogliamo sapere perché Mister alieno è qui; vogliamo sapere perché sono atterrati tutti; e ‘scopo’ richiede la comprensione di un’intenzione, dobbiamo scoprire se fanno scelte consapevoli o se la loro motivazione è così istintiva che non capiscono affatto una domanda con un perché; e il punto più importante è che dobbiamo avere un vocabolario sufficiente per poterne capire le risposte.”
Sì, da queste parti si parla di invasioni aliene. Sì, gli alieni in “Arrival” si presentano su una navicella spaziale. Proprio così, gli extraterrestri sono deformi e di un colore tendente al grigio. Diciamola tutta: qua non si fa sfoggio di grande originalità nella sceneggiatura, perlomeno per come gli “invasori” si presentano sul nostro pianeta. Ma l’abito non fa il monaco, e se non sei tipo da invasione degli omini verdi, devi comunque dare una chance ad “Arrival”: la vicenda in realtà si discosta presto da un puro film fantascientifico per vestire i panni di un qualcosa di più filosofico, campo certamente più interessante e che dà spazio a temi più profondi del semplice “ommioddio e adesso che facciamo?”. Se cerchi quello, prova “Mars Attacks!” o “Independence Day“… se vuoi invece uno dei migliori film del decennio, continua la recensione e cerca il film.
Dicevamo appunto che questi alieni hanno sette zampe ma soprattutto vogliono comunicare con noi. Per farlo scienziati e linguisti di tutto il mondo si mobilitano (le astronavi a forma di guscio sono ben 12 sparse in tutto il mondo…) e sarà la dottoressa Louise Banks a riuscire ad entrare nella testa dei visitatori. Un’attenta costruzione narrativa eleva “Arrival” oltre il semplice racconto di contatto alieno: la sceneggiatura, ispirata al racconto “Story of Your Life” di Ted Chiang, si districa tra linguistica, percezione del tempo e scelte esistenziali, riflettendo su come la comunicazione e la comprensione reciproca possano influenzare non solo le relazioni interpersonali ma anche il destino dell’umanità. Il film si rivela quindi un’incursione nel campo della metafisica, ponendo interrogativi sul libero arbitrio, sul tempo e sulla nostra capacità di affrontare e accettare il futuro. La regia di Denis Villeneuve gioca un ruolo cruciale nel trasportare lo spettatore in questa avventura intellettuale. Attraverso un uso sapiente della fotografia e della colonna sonora, “Arrival” crea un’atmosfera carica di tensione e meraviglia, che amplifica l’esperienza emotiva del film e approfondisce il suo impatto. La performance di Amy Adams, che interpreta la dottoressa Louise Banks, è la chiave di volta dell’opera, rendendo tangibili le sfide e i dilemmi interni del suo personaggio con una sensibilità e una profondità che trascendono lo schermo.
Un film che sembra molto più complicato di quanto in realtà non si riveli, questo lo rende piacevole e di facile fruizione, un viaggio attraverso le infinite possibilità della comprensione umana e della scoperta di sé. È un invito a guardare oltre le apparenze, a interrogarsi sul significato della nostra esistenza e sul potere trasformativo del linguaggio. La fantascienza è un terreno ricco di boiate, “Arrival” non lo è affatto. Per queste ragioni e per la sua capacità di sfidare e soddisfare allo stesso tempo, “Arrival” merita di essere visto e rivisto, scoprendo ad ogni visione nuove sfumature e intuizioni.
