“Prima dobbiamo essere sicuri che capiscano che cos’è una domanda, quindi la natura di una richiesta, informazioni insieme a una risposta. Poi dobbiamo chiarire la differenza tra ‘Vostro’ riferito a loro due e ‘Vostro’ più in generale, perché noi non vogliamo sapere perché Mister alieno è qui; vogliamo sapere perché sono atterrati tutti; e ‘scopo’ richiede la comprensione di un’intenzione, dobbiamo scoprire se fanno scelte consapevoli o se la loro motivazione è così istintiva che non capiscono affatto una domanda con un perché; e il punto più importante è che dobbiamo avere un vocabolario sufficiente per poterne capire le risposte.”

Sì, da queste parti si parla di invasioni aliene. Sì, gli alieni in Arrival si presentano su una navicella spaziale. Proprio così, gli extraterrestri sono deformi e di un colore tendente al verde/marrone. Diciamola tutta: Villeneuve non fa sfoggio di grande originalità nella sceneggiatura. Ma l’abito non fa il monaco ed ho comunque deciso di dare una chance ad Arrival. Credo di aver fatto bene, in quanto la vicenda in realtà si discosta presto da un puro film fantascientifico per vestire i panni di un qualcosa di più filosofico, campo più interessante (in questo caso) e forse più semplice da dirigere senza scivolare in pessime figure.

Dicevamo appunto che questi alieni hanno sette zampe ma soprattutto vogliono comunicare con noi. Per farlo scienziati e linguisti di tutto il mondo si mobilitano (le astronavi a forma di guscio sono ben 12 sparse in tutto il mondo…) e sarà la dottoressa Louise Banks a riuscire ad entrare nella testa dei visitatori. Un film che sembra molto più complicato di quanto in realtà non si riveli, questo lo rende piacevole e di facile fruizione. La fantascienza è un terreno ricco di boiate, Arrival non lo è… guardatelo.

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