“Un paio di mesi fa, quando è morta mia sorella, ho capito che Helge era un uomo molto pulito, considerato tutti i bagni che faceva..”
Difficilmente quando guardo un film di sera mi trascino le sensazioni e le angosce che mi ha trasmesso l’indomani. Festen, titolo danese di fine anni 90, ne è una significativa eccezione: ho ancora adesso negl’occhi le immagini che mi sono passate davanti poche ore fa. Non perché le immagini stesse fossero particolarmente spettacolari, piuttosto perché la pellicola sgranata e la telecamera amatoriale quasi sempre stretta sul primissimo piano dei protagonisti mi ha trasmesso un senso di nausea, l’esatta sensazione che Vinterberg vuole tramandare a noi spettatori.
Il titolo denuncia la trama: una borghese famiglia nordeuropea si riunisce per festeggiare il sessantesimo compleanno del capofamiglia Helge. La festa ha però delle tinte irreali, una serenità solo apparente che a fatica cerca di nascondere lo strazio del suicidio di Linda, figlia di Helge, avvenuta poco tempo prima. Subito dopo i convenevoli iniziali tra parenti sarà , il primogenito, a rovinare la festa a commensali e soprattutto al festeggiato con delle sconcertanti rivelazioni sulla sua famiglia. Nonostante la sconvolgimento generale le celebrazioni continueranno in un clima surreale, mischiandosi ad intrecci sessuali perversi ed a balli e racconti altrettanto estraniati dalla realtà.
La colazione della mattina seguente in cui il gruppo si ritrova ancora frastornato, si svolge in un’atmosfera più serena, ovattata, quasi come se giustizia fosse stata fatta. Thomas Vinterberg si rivela in questa pellicola fedele al suo maestro Lars Von Trier, rispettando gran parte dei paradigmi del Dogma 95, premiato poi dalla giuria al 51º Festival di Cannes.