“9 e 13, nota personale: quando ero piccolo mia madre mi diceva che non bisogna mai guardare fisso il sole, ma una volta, a sei anni, l’ho fatto.”
La prima pellicola indipendente in bianco e nero realizzata da Darren Aronofsky, offre una visione decisamente… delirante. La protagonista indiscussa è l’ossessione (tema che il regista avrà modo di sperimentare nei film successivi), quella di Maximilian Cohen, alla ricerca del valore del Pigreco. Max crede che la matematica sia il linguaggio della natura e cerca di individuare uno schema che gli permetta di prevedere le quotazioni in borsa. Nel suo angusto appartamento-laboratorio tenta invano di venire a conoscenza del fatidico numero ma ogni tentativo si rivela un fiasco, a causa soprattutto delle numerose emicranie che lo costringono ad iniettarsi massicce dosi di calmanti.
Tra una crisi e l’altra, il computer rivela il numero di duecentosedici cifre ed inizia per lui un vero e proprio incubo, che lo vede oggetto di pericolose attenzioni. Dopo un inseguimento per sfuggire da alcuni uomini della società di Wall Street, Max viene rapito da alcuni ebrei fondamentalisti e condotto a forza al cospetto del capo rabbino, che tenta invano di costringerlo a rivelargli il numero. Il protagonista si ribella e scappa in un’infinita corsa, resa magistralmente dalla componente sonora elettronica di Clint Mansel, con cui collabora in quasi tutti i suoi film e non solo, Massive Attack, Aphex Twin… Già da questo primo film, Aronosfky mette in evidenza i temi principali della sua poetica: la ripetitività e l’ossessività; l’uso d’immagini zoomate ed un continuo montaggio serrato, rivelano la particolare soggettiva del protagonista ed offrono allo spettatore una visione del mondo turbata e angosciata. Attenzione: potrebbe scatenare atteggiamenti compulsivi!