Profondo Rosso

Profondo Rosso - Dario Argento, 1975


Voto medio: 4,21
(122 voti totali)

Film consigliato

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DURATA: 127 minuti
GENERE: Giallo, Horror, Thriller
CAST: David Hemmings, Clara Calamai, Macha Méril, Eros Pagni, Giuliana Calandra.

“Quello che credi di vedere, e quello che vedi realmente, si mischiano nella tua memoria come un cocktail. Tu credi di dire la verità, e invece dici soltanto la tua versione della verità.”

Ah, l’apice del giallo italiano, un’opera che affonda le sue radici nelle più oscure profondità dell’animo umano. Ricordo ancora la prima volta che lo vidi, in una sala fumosa, con l’aroma del tabacco a permeare l’aria, quasi a preannunciare l’atmosfera opprimente del film. Dario Argento, il maestro, intesse una tela di mistero e terrore con la maestria di un artigiano del brivido, mescolando sangue, arte e psicanalisi in un cocktail inebriante che ti lascia sospeso fino all’ultimo fotogramma.

La storia inizia come un innocuo incontro, un pianista testimone di un omicidio, ma si trasforma rapidamente in un labirinto di specchi, ognuno riflettendo una faccia diversa dell’orrore. La musica di Goblin è un personaggio a sé, che si insinua nella psiche, un leitmotiv che accompagna la discesa nella follia. È un richiamo che non puoi ignorare, che ti trascina nelle profondità di un rosso così profondo, così saturo, da sembrare quasi nero. Le morti, così artisticamente orchestrate, sono un macabro balletto che danza sul filo di una lama, ogni scena un capolavoro di tensione. E poi c’è Roma, la città eterna, che sotto la lente di Argento si trasforma in un teatro di ombre, dove ogni angolo nasconde un segreto, ogni eco può essere un presagio di morte.

“Profondo Rosso” è un’esperienza che ti marca l’anima, che ti insegna a guardare oltre la superficie, a interrogare ciò che è dato per scontato. Argento gioca con la nostra percezione, sfida le nostre paure, ci costringe a guardare negli occhi il mostro e a riconoscere in esso una parte di noi stessi. In un’epoca in cui l’orrore è spesso ridotto a mere scosse adrenaliche, quest’opera rimane un monito dell’arte di evocare il terrore, un richiamo a quei tempi in cui il cinema era in grado di esplorare le profondità più oscure dell’essere umano. Ogni volta che lo riguardo, nell’intimità del mio studio, circondato dai fantasmi del fumo di sigaretta, mi ritrovo a contemplare la natura umana, quel sottile confine tra la civiltà e la barbarie che Argento ha così magistralmente esplorato.

“Profondo Rosso”, quindi, non è per i deboli di cuore, né per coloro che cercano rifugio nei confortevoli cliché dell’orrore. È un viaggio in quelle parti di noi che temiamo di esplorare, un’opera che, come un buon vino o un vecchio sigaro, si apprezza pienamente solo con la maturità e la consapevolezza delle proprie ombre.