“Scoprimmo che le ragazze sapevano tutto di noi e che noi non potevamo capirle affatto”
Lungometraggio d’esordio per Sofia Coppola, figlia del grande regista Francis Ford Coppola. Da un lato essere figli d’arte è sicuramente un bel vantaggio, ma allo stesso tempo anche una grossa responsabilità: in questo caso mi sembra che la regista superi la prova di maturità, dimostrando di poter camminare da sola, senza bisogno di vivere all’ombra del celeberrimo padre (come confermato poi dal suo successo posteriore Lost in Translation).
Il film ci riporta nell’America degli anni ’70, in un tipico quartiere borghese di periferia dove regna la calma e tutto si basa sulle apparenze. Vittime di questo perbenismo e di una cultura a dir poco retrograda saranno le cinque bellissime sorelle Lisbon, ambite da ogni ragazzo della scuola ma cresciute in una sorta di bolla di sapone a causa della madre, fervente cattolica, misoneista ed attaccata a dei principi morali che stridono con i tempi moderni che stanno invadendo il paese come un’epidemia.
Così le sorelle sono costrette a vivere un’adolescenza complessa, fatta di sogni e passioni represse, legate a delle catene che cercano di celare al mondo esterno; mondo che tra l’altro preferisce non vedere o comunque non intervenire per aiutare le giovani fanciulle. Certamente il film invita a riflettere, ed anche se ambientato in un periodo ormai passato tratta problemi che sono e saranno (purtroppo) sempre d’attualità.