“È una mia impressione o continuano a moltiplicarsi? Scommettiamo che tra un po’ gli danno anche i tappeti? Una volta il cortile era nostro! Menomale che sono un branco di coglioni!”
Da quando ho scoperto l’ottimo Jacques Audiard (Un Sapore di Ruggine e Ossa), ogni suo film è stato una vera e propria sorpresa. Il regista transalpino ha talento da vendere dietro la cinepresa e lo dimostra anche in questo interessante dramma dai molti risvolti thriller, ambientato nella sua quasi totalità in una prigione francese.
Malik El Djebena (un convincente Tahar Rahim) è un diciannovenne di origine araba che viene condannato a 6 anni di reclusione da scontare in un duro carcere a tutti gli effetti governato dalla malavita còrsa, capeggiata dal detenuto César Luciani. Malik è un ragazzo apparentemente fragile, quasi del tutto analfabeta e senza amici che possano aiutarlo a sopravvivere in un ambiente decisamente ostile. Tuttavia, il giovane ha dalla sua un gran talento: apprende molto in fretta. Così, barcamenandosi tra insulti e ricatti, riesce poco a poco ad entrare nelle grazie del boss Luciani e a guadagnarsi la protezione del gruppo di carcerati còrsi. Ma El Djabena ha ben altre mire e comincia a mettere in piedi i propri loschi giri, coadiuvato dal suo insegnante e poi grande amico Ryad e da un detenuto spacciatore chiamato “lo Zingaro”.
Sulla trama non voglio svelare altro, visto che i colpi di scena non mancheranno e la sceneggiatura risulta davvero ben studiata. Il punto forte del film rimane comunque, a mio avviso, la regia di Audiard, la quale appare ancora una volta molto solida, con alcuni picchi che coincidono coi momenti in cui la storia si stacca dal suo stampo realistico per entrare in una sfera onirica che del resto ogni prophète deve saper esplorare. Consigliatissimo ma per forza in versione originale, per non perdere l’alternarsi dei codici linguistici usati dai personaggi (francese, arabo e còrso); importante chiave di lettura del lungometraggio.