“I peccati non si scontano in chiesa. Si scontano per le strade, si scontano a casa. Il resto è una balla. E lo sanno tutti.”
Mean Streets, dal titolo Italiano “Domenica in Chiesa e Lunedì all’Inferno”, è il terzo film di Martin Scorsese che lo consacra per direttissima nell’olimpo dei grandi, dopo “Chi sta bussando alla mia porta?” del 1969 (una sorta de “I Vitelloni” all’americana) e “Sterminateli senza pietà” film storico del 1972 e primo lungometraggio importante (dove mette in scena la grande depressione del 1929, con scene memorabili e concetti forti tra l’eroismo dei sindacalisti e le rapine alle compagnie ferroviarie – da vedere).
In Mean Streets, viene estrapolato un frammento vivo e realistico della quotidianità, precisamente nel quartiere “Little Italy” dei primi anni settanta, dove il regista è nato e cresciuto. Quindi per certi versi si può dire sia una pellicola autobiografica. Poi, a voler cercare il pelo nell’uovo, si potrebbe pensare anche che nel titolo vi sia impressa la sua firma – M.S. – forse poi non così del tutto casuale.
In questo film, il detto: “racconta quello che conosci” è applicato alla lettera e per tanto funzionale sia nell’emotività diretta, che nel sano cinismo realistico. La storia si svolge all’interno di Little Italy nei primi anni settanta. I ragazzi potevano scegliere due strade nella vita: diventare gangster rispettati, o preti temuti. Per le ragazze nessuna scelta: destinate a sposarsi tra parenti della stessa religione, cristiani o ebrei, fare figli e sopportare in silenzio; oppure impazzire passando per nevrotiche, ma in realtà sofferenti nel non potersi esprimere e lasciate sole nel loro dolore, costrette a rinnegare se stesse (come Teresa, la cugina del protagonista e a lui destinata, ma emarginata perché epilettica). Il giovane protagonista del film, Charlie (un grande Harvey Keitel) – alter ego del regista -, è in piena crisi esistenziale e come tutti i giovani della sua età si pone domande, mentre passa le giornate tra riscossioni del pizzo, (d’altronde suo zio è un mafioso del quartiere), grandi bevute con gli amici e disquisizioni religiose su inferno, paradiso e San Francesco. Poi c’è Johnny Boy (uno straordinario Robert De Niro), suo grande amico e cugino di Teresa (l’amante epilettica). Johnny Boy è un giovane disadattato violento e pericoloso che ama “giocare” con gli esplosivi, rifiuta ogni sorta di convenzione e regola, è alquanto tenero e fragile nella psiche, ma duro e spietato con gli altri… in realtà nasconde il dolore per la mancanza d’amore e per gli affetti mai ricevuti nell’infanzia.
Scorsese racconta con magistrale abilità le problematiche e le contraddizioni del vivere dentro una sorta di “riserva indiana”, mentre nella Grande Mela tutto sta mutando, evolvendosi. Charlie è confuso, vorrebbe cambiare ma ha paura, il quartiere l’opprime ma allo stesso tempo lo protegge e rassicura… fuggire o far carriera restandone prigioniero? Scambia la mafia per la famiglia, l’onore con il dolore, il senso di giustizia con la pietà. Charlie è diviso in due: da un lato vorrebbe sparire da quel mondo, cancellando per sempre quelle regole mai scritte, e dall’altro non vuole rinnegare le sue radici che porta avanti con orgoglio. Il guscio protettivo della “famiglia” di Little Italy è molto rassicurante rispetto all’individualismo esterno al clan, dove nessuno tende mai una mano per aiutare. Ma al contempo, deve infrangere quel microcosmo, per salvarsi.
Un epitaffio del regista alle sue origini, carico d’amore e passione per quello che è stato, nobilitando quel resta e quel che sarà. Mean Streets cementa saldi mattoni per i futuri capolavori che seguiranno, dove la matrice italoamericana sarà sempre più viva e presente, consacrando nella trama sentimento e violenza, odio e tenerezza, lanciando il suo attore simbolo per eccellenza, Robert De Niro, che in Mean Streets “inaugura” il ruolo del personaggio emotivamente fragile, duro e spietato quanto tenero e violento, che presto ritroveremo nei film a seguire, come il magnifico “Taxi Driver” del 1976. Ma questa è un’altra storia.