“Io ti amo ma tu non sai di cosa stai parlando.”
Il regno del sorgere della luna. Già dal titolo siamo per l’ennesima volta immersi nel mondo poetico frutto della mente di Wes Anderson, che qua viene aiutato nella sceneggiatura da Roman Coppola (figlio di Francis Ford e fratello di Sofia), così come già avveniva egregiamente ne “Il Treno per il Darjeeling”. E ancora siamo ad affrontare una tematica importante con il piglio agrodolce tipico dell’occhio artistico del regista. Forse è il film suo film meglio riuscito, a mio avviso.
Sam e Suzy sono due ragazzini accomunati dall’estraniazione dal mondo che li circonda: vivono, coi loro problemi, agli antipodi di un’isoletta tanto meravigliosa quanto fuori dal mondo. Per caso si incontrano, si innamorano, tengono una fitta e genuina corrispondenza e con altrettanta genuinità (ed ingenuità) decidono di intraprendere una fuga d’amore. Lui è orfano di entrambi i genitori, vive con una famiglia affidataria che non se ne vuole far carico, è preso in giro da tutti i coetanei ed è uno scout provetto in cerca di avventura; lei è la prima di quattro fratelli figli di genitori ormai in piena crisi sentimentale, odia la madre perché infedele nei confronti del marito e si pone al mondo esterno in maniera distaccata, osservando tutto da lontano attraverso il suo binocolo. Cercano la fuga dai propri problemi, dalla propria vita disagiata ed incompresa, come già avveniva con la Margot de “I Tenenbaum” d’altronde. Ma qua Wes si ferma all’avventura dei due disadattati adolescenti, intraprendenti ragazzini senza peli sulla lingua. La questione della loro scomparsa mobiliterà il mondo degli adulti (e non solo) nella loro ricerca, soprattutto vista l’imminente tempesta che si sta per abbattere sull’isola. Ma il problema principale rimarrà la comprensione delle loro vite e del loro gesto, offrendo uno spunto per un esame di coscienza a noi spettatori non-più-giovani che abbiamo dimenticato cosa vuol dire vivere l’infanzia e quali problematiche può portare con sé.