“Non vedevo una massa di tessuti. Vedevo il viso di una bambina.”
Hanna è una diciannovenne universitaria che soffre di epilessia, asma e depressione. Ama recitare, ma durante il suo debutto ha un malore e sviene. Iniziano una serie di test medici nell’ospedale dove lavora il padre, incluso uno psicologo a cui la madre ha dato il diario. Tutte le paure interiori di Hanna vengono così portate alla luce davanti ai genitori. La paura più grande della ragazza si dimostra verità: in realtà non appartiene alla famiglia, è stata adottata dopo esser sopravvissuta a un aborto. Il migliore amico di Hanna, Jason, (con tanto di fidanzata gelosissima) le propone di accompagnarlo nel viaggio verso New Orleans con gli amici, proponendo di fermarsi in una cittadina dell’Alabama, dove è nata. Il viaggio non sarà privo di complicazioni, fino a che Jason non affitta una macchina e i due intraprendono il viaggio verso la verità.
Il film ha tratto ispirazione da un video su YouTube, in cui una ragazza realmente sopravvissuta a un aborto raccontava la sua esperienza. Non l’ho trovato “moralista” nel significato più profondo del termine e non cerca nemmeno di instaurare una propaganda anti aborto. Durante il film non sono riuscita a capire a che tipo di audience fosse diretto, a tratti infantile e a tratti profondo. Il finale è abbastanza banale, ma una volta finito il film ci sono voluti tre giorni per smettere di pensare alla mia “idea” sull’aborto.