– Ciò che mi consuma è la mia stoltezza… Ancora una volta la felicità ha battuto invano alla mia porta.
– E tu non hai aperto?
– Sono stato sordo. E ora languo.
Una famiglia come tante che, di rientro da una gita a Paestum, dimentica in autogrill il proprio cardine famigliare: Rosalba. Madre e moglie, casalinga e tuttofare, ella si dimostrerà non proprio “come tante”, anzi. Coglierà l’occasione per prendersi una piccola vacanza e visitare Venezia, meta fuori portata per la famiglia pescarese, e soprattutto per ritrovare se stessa e scoprire lati del proprio carattere che rischiavano di rimanere celati per sempre tra panni da stirare e pentole da lavare.
Pane e Tulipani sostanzialmente può essere letto sotto due aspetti, che possono accontentare tutti. Il primo aspetto è quello di facciata, molto superficiale: un’allegra commedia italiana con un inizio, uno svolgimento e una fine tutti con senso logico, per uscire un po’ dagli schemi del clichè appunto di “commedia italiana”. Ma c’è un aspetto molto più profondo della pellicola, un senso e una morale che non sono certamente nascosti ma che bisogna saper cogliere a fondo: la seconda vita di Rosalba, la sua rinascita come donna emancipata e la sua seconda spensierata giovinezza sono il vero fulcro attorno al quale ruota la trama. La casualità degli eventi, che amo pensare siano il destino, guidano Rosalba in una città non casuale, in un ristorante non casuale e la portano a conoscere un uomo certamente non casuale. Lei inconsciamente gli salverà la vita fisica e anche sentimentale, portando una ventata d’amore (casualmente) anche alla vicina di casa. Sempre per caso, troverà anche un lavoretto presso un fiorista della città e ciò darà il tocco “magico” a tutta la storia, donando anche un titolo stupendo a questa pellicola vincitrice di numerosi e prestigiosi premi.