“Amo gli occhi tuoi, amica mia, il loro gioco, splendido di fiamme, quando li alzi all’improvviso e, con un fulmine celeste, guardi di luce tutt’intorno”
Titolo poco conosciuto ma vero e proprio cult per gli amanti del genere, capolavoro della cinematografia russa. La trama è sulla carta semplice e già dalle prime battute Tarkovsky ci dirige subito “al sodo” senza troppi indugi: protagonista del film è come da titolo uno Stalker, sorta di Caronte che guida le persone buone ma infelici nella “Zona”, luogo divenuto paranormale per cause sconosciute o non meglio specificate (lo si definirà un dono). Nella zona vigono regole comportamentali precise: l’ambiente esige rispetto e purezza d’animo.
Nello specifico il nostro “traghettatore” guiderà lo “Scrittore” e lo “Scienziato” (così verranno definiti, solo attraverso dei soprannomi) in questo viaggio, con la speranza di raggiungere “La stanza” che permette agli infelici di esaudire i propri desideri. Non sarà un semplice percorso esteriore.
Stalker si presenta sulla carta come un film di pura fantascienza; in realtà è molto di più. Infatti il viaggio che i tre protagonisti intraprendono nella “Zona” non si limita ad un itinerario nel paranormale, ma è piuttosto una perlustrazione del loro inconscio, delle loro paure ed insicurezze. Il lato introspettivo del film aumenta con l’evolversi della vicenda catalogando la pellicola più nel genere psicologico e filosofico rispetto alla pura fantascienza. Rimane un prodotto difficile, sia per contenuti che per la cadenza estremamente riflessiva dell’azione, caratterizzato però da una poetica senza eguali, alla quale siamo certamente poco abituati e che proprio per questo ci lascerà esterefatti.