“Si può cucire quasi ogni cosa della stoffa del soprabito.”
Reynolds Woodcock è un rinomato stilista della moda Londinese anni ‘50: tutte le donne vogliono assolutamente un abito ideato e confezionato dalle sue sapienti e meticolose mani. Vive con la sorella, Cyril, immerso in una rigida routine giornaliera dedicata solo al lavoro; questa abitudine, così strana per quello che è da tutti i punti di vista un artista, si ferma solo quando l’uomo va in cerca di conquiste. O meglio, di muse ispiratrici. Ne porta a casa un sacco (una alla volta), permettendo loro di vivere nella sfarzosa casa di famiglia fino a che si stufa di loro o esse decidono di abbandonare, col cuore infranto, la vita di un cuore in cerca d’amore ma chiuso ad ogni cambiamento. Fino a che sopraggiungerà Alma, una tenace giovane dall’aspetto morbido e delicato ricca di dignità e forza d’animo, che scombussolerà il sopracitato “testone” e si mescolerà ed affermerà nella vita di Woodcock in un climax ed un finale assolutamente sorprendenti.
Ultimo arrivato in Italia della famiglia dei titoloni candidati agli Oscar 2018, Phantom Thread ha scombussolato tutte le nostre previsioni sui vincitori dell’edizione. Per cominciare, c’è da dire che sceneggiatura, regia e persino fotografia sono ad opera della stessa mano, quella di Paul Thomas Anderson (Magnolia, Ubriaco d’Amore, Il Petroliere, The Master, Vizio di Forma). Di per sé è già una cosa degna di nota. Ma ciò che rende sublime questa pellicola (la critica impazzisce e la definisce – a ragion veduta – “capolavoro”) è il risultato finale: una piacevolezza non solo estetica che accompagna lo spettatore durante tutta la trama, un’immersione totale in ogni scena, così evidentemente studiate da tutti i punti di vista che risultano come opere d’Arte in movimento, e una recitazione in generale che potrebbe valere qualche statuetta. Difficile dire cosa e se vincerà qualcosa questo film, però i titoli in bacheca in questo caso non possono essere il solo indice di qualità. Daniel Day-Lewis di Oscar ne ha già tre in casa, vinti tutti come migliore attore; ma nonostante il comprovato talento che ha donato finora al mondo del Cinema, egli ha dichiarato di volersi ritirare proprio con questo ruolo. Un Academy lo meriterebbe assolutamente, se non altro anche solo per la sua mostruosa carriera. Ma esiste un premio già per quest’ultima… e Gary Oldman in Darkest Hour non è stato da meno, quest’anno. La ciliegina su questa magnifica torta però a mio avviso è Vicky Krieps, una piacevole novità (per me, anche se ora la ricordo in La Spia) che impreziosisce in maniera esponenziale il tutto. Sarà che mi sono innamorato di lei o semplicemente perché è magnifica, la Lussemburghese tesse con tenacia la trama di quella che altrimenti sarebbe una vita abitudinaria, con il suo carattere tenace (e una voce… mioddio che voce!) che farà sciogliere, cambiare e accettare persino il burbero protagonista. Assolutamente da non perdere.