“Ho te e mi basta.”
In una delle scene iniziali, Adele, la protagonista di questa splendida pellicola (Palma d’oro a Cannes 2013), cita il libro “La Vie de Marianne” come uno dei suoi preferiti. Questa dello scrittore settecentesco Pierre Marivaux è un’opera lunga, ma se riuscirete a leggerla tutta vedrete che toccherà anche voi in modo particolare. Lo stesso potrei dirvi di “La Vie d’Adèle”, capolavoro del regista tunisino Abdellatif Kechiche: un film molto lungo, ma che paradossalmente può sembrare (ma non è!) quasi inachevé – come incompiuto è del resto il romanzo di Marivaux -, e soprattutto un film il quale, alla fine, non potrà non lasciarvi qualcosa dentro, nel profondo.
La trama: Adele è una ragazza di Lille che frequenta l’ultimo anno di liceo. Legge libri con voracità, un po’ allo stesso modo in cui divora gli spaghetti alla bolognese del padre, di cui va particolarmente ghiotta. Un giorno, camminando per strada, s’imbatte per caso in una ragazza dai capelli blu che la lascia letteralmente folgorata. Ritrovatala giorni dopo in un locale gay, ha occasione di parlarle e tra le due scatta subito, nonostante la differenza d’età, una scinitlla che presto si converte in una fiamma d’amore che divampa incontrollabile e brucia le loro anime e i loro corpi, che paiono attratti come da forze magnetiche. Grazie a questa intensa relazione, Adele imparerà molte cose della vita, riuscendo, poco a poco a diventare grande.
Assolutamente non un film sull’omosessualità, ma un vero e prorpio Bildungsroman che parla di amore, di passione e anche di sesso in modo naturale, schietto, visivamente esplicito, ma mai morboso o volgare. Davvero ottime la regia e la fotografia. Pazzesca l’interpretazione della stella nascente Adèle Exarchopoulos (nei panni di Adele) e molto buona anche quella della sua compagna più navigata, Léa Seydoux, che recita il ruolo di Emma, oggetto del desiderio della protagonista.