Una Storia Vera

The Straight Story - David Lynch, 1999


Voto medio: 3,79
(187 voti totali)

Film consigliato

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DURATA: 112 minuti
GENERE: Drammatico
CAST: Sissy Spacek, Harry Dean Stanton, Richard Farnsworth, Everett McGill, Jane Galloway Heitz, Jack Walsh, Bill McCallum, Barbara E. Robertson, James Cada, Sally Wingert, Barbara Kingsley, Wiley Harker, Kevin P. Farley, John Farley, John Lordan.

“Quando i miei figli erano piccoli, facevo un gioco con loro. Gli davo un rametto ciascuno e dicevo loro di spezzarlo. Non era certo un impresa difficile. Poi gli davo un mazzetto e dicevo di provare con quello. Ovviamente non ci riuscivano. – Quel mazzetto – gli dicevo – quello è la famiglia.”

Il Lynch che non ti aspetti. Il regista statunitense, che aveva abituato il pubblico alle sue visioni oniriche e spesso inquietanti, questa volta si era spogliato dei panni del visionario per concentrarsi su una storia tanto semplice quanto emozionante, ispirata a fatti realmente accaduti. Non c’erano più gli incubi di Eraserhead o le fosche trame di Blue Velvet: in questo caso, il vero “movente” era un sentimento da riscoprire, un legame da recuperare.

Al centro della vicenda c’è Alvin, un settantatreenne pieno di vita, contadino di lunga data che vive con la figlia Rosie in una quiete quasi bucolica. Una sera, una telefonata arriva a rompere l’equilibrio: il fratello di Alvin, con cui lui non aveva più rapporti da anni, è stato colpito da un infarto. Alvin, anziché temporeggiare o cercare mezzi più convenzionali per affrontare il viaggio, si organizza “alla sua maniera”: un tosaerba, un rimorchio, una tenda, e tanta determinazione. Ecco dunque che la trama del film si traduce nella cronaca di un itinerario lento, fisicamente logorante eppure estremamente coinvolgente, che commuove senza fare troppo rumore. Il cuore di questa avventura risiede nei piccoli, grandi incontri lungo la strada: persone stravaganti ma autentiche, frammenti di un’America rurale che si estende a perdita d’occhio.

È un racconto lineare, privo di quegli orpelli a cui Lynch ci aveva abituato altrove. L’obiettivo non era più la costruzione di mondi onirici o la messa in scena di incubi urbani, bensì la rappresentazione schietta e sincera di una vicenda umana. Il regista, pur avendo sondato in passato territori onirici e surreali, sapeva muoversi con abilità anche in contesti più quotidiani, regalando uno sguardo che trasforma un semplice viaggio su un tagliaerba in una riflessione su famiglia, perdono e resistenza interiore. È la storia di un uomo che, sentendo il richiamo del sangue e l’urgenza di rimediare a un errore – la rottura con il fratello –, non si lascia abbattere né dall’età né dalla fatica.

Dal primo fotogramma fino al finale, il film costruisce un’atmosfera pacata, fatta di dialoghi essenziali e di paesaggi distesi, in cui la natura e la lunga strada da percorrere diventano quasi personaggi a loro volta. Proprio perché la trama è così lineare e pulita, emergono con forza i sentimenti dei protagonisti: la malinconia di Alvin per il tempo perduto, il suo sorriso semplice quando incontra altri viaggiatori, l’infinita pazienza con cui guida il suo tagliaerba su strade polverose e poco battute. Questa era la magia del Lynch meno convenzionale: riuscire a rendere avvincente e toccante un’odissea minimalista, dove contano soprattutto i valori come la famiglia e l’amicizia.

Non c’è spazio per colpi di scena mozzafiato o sviluppi narrativi intricati: la potenza di questo film sta nel percorso di Alvin, metafora di un viaggio non solo fisico, ma anche interiore, verso la riconciliazione e la riscoperta di un amore fraterno. Ecco perché, nonostante l’apparente semplicità, risulta tanto emozionante: il pubblico si affeziona a quest’uomo anziano e ostinato, segue le sue fatiche come se fossero le proprie e condivide quel senso di sollievo e meraviglia che accompagna ogni nuovo incontro lungo il cammino.

È un film alla portata di tutti, perché parla di sentimenti basilari: la famiglia, il bisogno di rimediare a un torto, la speranza di riannodare i fili interrotti col passato. E, se da un lato manca il classico impianto surreale, dall’altro la regia di Lynch dona delicatezza a ogni scena, facendoci innamorare di Alvin e della sua ferrea volontà di arrivare a destinazione, qualunque cosa accada. In fondo, è la storia di un uomo che non si arrende all’età, alla distanza, alle incomprensioni di un tempo. È un inno alla capacità di credere che il futuro possa ancora riservarci un abbraccio sincero e inatteso, e non è poco.