The Brutalist

The Brutalist - Brady Corbet, 2024


Voto medio: 3,88
(33 voti totali)

Film consigliato

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DURATA: 215 minuti
GENERE: Drammatico, Noir, Storico
CAST: Adrien Brody, Felicity Jones, Guy Pearce, Joe Alwyn, Raffey Cassidy, Isaach De Bankolé, Jonathan Hyde, Emma Laird, Stacy Martin, Alessandro Nivola, Peter Polycarpou, Michael Epp, Jaymes Butler, Nick Wittman, Natalie Shinnick, Jeremy Wheeler, Matt Devere.

“Mi dica, perchè un affermato architetto straniero si ritrova a spalare carbone a Philadelphia?”

The Brutalist è un film che fonde dramma personale ed epica storica, avvolgendo lo spettatore in un’esperienza di tre ore e mezza che, nel bene e nel male, lascia il segno. Si parte con un’introduzione – una lunga inquadratura che mette in luce la statua della libertà da un’angolazione del tutto insolita – che fin da subito stabilisce un tono quasi ipnotico, come se volesse prepararci a un’immersione totale in un certo tipo di cinema che non ha paura di chiedere tempo e pazienza allo spettatore. Ci troviamo di fronte a un racconto che ruota intorno a László Toth (Adrien Brody), un architetto di origine ungherese che cerca fortuna nell’America del dopoguerra. Il 70mm cattura panorami e architetture con un’estetica davvero monumentale, mentre la colonna sonora di Blumberg accompagna e rafforza ogni passaggio chiave. Da questo punto di vista, la dimensione “fisica” del film – intendo la scelta del formato e il tipo di riprese – ha un impatto enorme sull’atmosfera: ogni immagine si sente “immersiva”, come se il mondo fosse incombente e mastodontico, proprio come i sogni (o gli incubi) di chi aspira a costruire qualcosa di nuovo nel Nuovo Mondo.

E qui arriva la parte interessante: la sceneggiatura. Fino a circa due terzi di visione, The Brutalist è un viaggio potente, costellato di tensioni psicologiche, drammi personali e sprazzi di umanità che emergono tra le crepe di un Paese in fermento. Brody è l’anima di tutto: il suo László combina ambizione, insicurezza e dolore in un modo che mi ha ricordato un po’ Il pianista, un po’ Il grande Gatsby. Al suo fianco, Felicity Jones interpreta la moglie, portando un tocco di grazia e tristezza trattenuta, mentre Guy Pearce – l’industriale che tira le fila – funziona come un contraltare quasi “subdolo”, un simbolo vivente dell’ambiguità morale del capitalismo rampante.

Il “difetto” del film, a mio parere, si concentra nell’ultima ora. È come se l’epica volesse allargare ulteriormente il proprio respiro, introducendo nuovi sottotesti o linee narrative che però non trovano un vero compimento. Sembra quasi che il regista abbia voluto arricchire la storia di dettagli “extra”, ma questo finisce per diluire la forza emotiva, rendendo l’epilogo un po’ traballante. Dopo aver investito così tanto nella costruzione di personaggi e relazioni, ho avuto l’impressione che mancasse un vero senso di “chiusura”, lasciando parecchi nodi irrisolti. Nonostante ciò, trovo che l’esperienza complessiva rimanga decisamente affascinante. Per chi ama il cinema “monumentale” – fatto di immagini grandiose, tempi dilatati, colonne sonore orchestrali e ambizioni autoriali – The Brutalist è una tappa obbligatoria. È raro vedere un budget così contenuto trasformarsi in un film dalla resa visiva tanto potente, e la sensazione di trovarci di fronte a un’opera fuori dal tempo (ma comunque fortemente legata alla storia statunitense) rende la visione un viaggio. Certo, un viaggio impegnativo, ma se si accetta la sfida, le ricompense non mancano: interpretazioni carismatiche, sequenze di pura estasi cinematografica e uno sguardo non banale su temi come il sogno americano, il trauma bellico e la tensione fra idealismo e pragmatismo.

The Brutalist mi ha lasciato un leggero senso di incompletezza, ma la parabola in discesa richiamata dal titolo (e riflessa nello sviluppo narrativo) non annulla il valore del percorso. Anzi, forse fa parte del fascino tragico di un film che parla di costruire e distruggere, di ambire e fallire, di sognare e dover scendere a patti con una realtà spesso crudele. Non sarà un film per tutti, e il suo epilogo lascia in sospeso alcune domande, ma in fondo questo suo procedere “imperfetto” potrebbe proprio essere il cuore di un’epica moderna destinata a dividere e a restare nella memoria.