“Le parole non tornano indietro dopo che sono state esposte ad alta voce”
Come promesso, dopo essermi imbattuto in “Upstream Color” non ho potuto far altro che visionare la prima fatica di Shane Carruth, regista con pochi soldi in tasca ma tante idee nella zucca. Primer racconta la nascita di una Startup un po’ fuori dal comune: 4 amici ingegneri si trovano ogni sera dopo il lavoro nel garage di casa per lavorare ad una macchina che possa farli realmente svoltare nella loro carriera. Aaron (Shane Carruth stesso) e Abe riescono però a sviluppare il progetto secondo delle prospettive insperate: la macchina secondo le loro osservazioni permetterebbe di tornare indietro nel tempo creando realtà parallele.
Una tematica non semplice ma tra le più affascinanti che lascia aperti interrogativi nei protagonisti e nello spettatore ed apre la scena a fitti dialoghi tra i due amici su ciò che può derivare da tutto questo. Nella cinematografia l’argomento dei viaggi nel tempo è stato spesso dibattuto con più o meno successo. Floridi esempi sono cult movie come “Donnie Darko”, “Ritorno al Futuro”, “The Butterfly Effect” e “L’Esercito delle 12 Scimmie”. Primer si limita a porre le basi su questa tematica senza sbilanciarsi troppo ma tenendosi ad un livello primordiale e piuttosto filosofico, cosa che ha stuzzicato non poco il mio intelletto. Se poi aggiungiamo che tutto ciò è stato ottenuto con un budget di settemila dollari possiamo tranquillamente gridare al capolavoro. Sfido tutti a trovare un titolo migliore (e stiamo parlando di fantascienza) per cui si è speso così poco.